Il cambiamento in tre punti

Cambiare non è un’abitudine, e richiede allenamento: la prima volta che un cambiamento investe la tua vita, la forza con cui reagisci è piuttosto esile. Più cambi, più cambia il tuo modo di cambiare.

Ho imparato diversi fatti sul cambiamento: scrivo questo post per chi in questo momento è travolto e non sa come fare, per chi ha scombussolato la sua vita numerose volte e gli tremano le gambe di fronte al passo successivo, per quelli che non sanno come trovare le risorse per procedere.

Sono mesi in cui la mia vita è un sottobosco che non porto alla luce, che ometto di raccontare: dall’inizio di quest’anno, da quando sono tornata a lavorare in azienda, dal primo abbonamento da pendolare, sono cambiati tutti i ritmi della mia vita; nel mentre sono successe e continuano ad accadere cose che mi stanno portando in una nuova fase. Soprattutto ora, a novembre 2016, metto a fuoco quelli che sono i tre punti necessari del mio e di molti percorsi di cambiamento. Eccoli.

1. La  paura è compostabile

Nel 2015 esplodevo, gettavo il cuore oltre l’ostacolo, e non sapevo bene dove posare tutte quelle scintille: poi per fortuna e per talento ho recuperato la mia vena prosaica, e ho capito che più che spargere è profittevole scavare, trasformare le scintille in cenere e in concime, anche se equivale a sedersi sulle ginocchia per molto tempo. Significa scegliere un punto di partenza: quando attraversi un cambiamento importante ti muovi a tentoni in una casa dove le scale si spostano di continuo, tempo dopo impari a saltare direttamente sulla finestra perché hai compreso che è da quel davanzale che vuoi sentire l’aria accarezzarti.

È la fase in cui si estingue la paura per quello che stai diventando, e hai fatto pace con il sommovimento dei tuoi piani del futuro: lì comincia la strada più interessante, in cui devi confrontarti con la vita con una tenacia che prima no, non avevi.

2. Sei te più te più altri mille

Ci sono le persone che cambiano facendo i piani, quelle riflessive, le donne che disegnano, gli uomini che corrono: c’è chi guaisce, chi grugnisce, chi assomiglia a suo padre, chi si stacca da sua madre. In qualsiasi modo tu cambi, fai esperienza del modo in cui agisci sul cambiamento, e lo impari.

Per anni sono cambiata rompendo di netto con le situazioni, ed era necessario rompere pure un po’ me: ora non succede più, e scommetto che se sei un po’ abituato a cambiare, non succede più nemmeno a te.

Cambiando una, due, cento volte fai scorta di te stesso, e questa scorta aumenta: magari non impari le strategie, e certe esperienze ti affaticano sempre un po’, ma ogni volta che te la cavi una parte di te mette da parte, e mette via il cuore, il coraggio per le stagioni più aride.

3.    Sai trovare le risorse

Nel 2014 ho ricominciato a fumare, avevo smesso da almeno sei anni, nel 2016 ho rismesso. Negli ultimi mesi mangio tantissima cioccolata, gli zuccheri – ho deciso – mi tengono sveglia. Nel 2015 ho seguito un percorso di terapia breve strategica e ne avevo parlato qui. Da giugno ho problemi di insonnia e ho chiesto una mano a un centro specializzato.

Dopo che hai esperito gli effetti deleteri dell’assenza di cambiamento, o del suo ritardo, dopo che sei rimasto bloccato, o quando hai scoperto di aver trovato una soluzione poco adatta a te: dopo questo modifichi i tempi di risposta alle situazioni da cambiare e l’elenco di risorse che hai a disposizione per farlo.

Soprattutto, o almeno è il mio caso, ho imparato a cavarmela in condizioni che due anni fa mi stritolavano e a chiedere aiuto per quelle altre per cui non ho ancora risorse, ma che voglio imparare in fretta per stare bene.

Non si tratta di essere sbrigativi nei confronti del cambiamento, ma di usare con fiducia quello che di te è cambiato: per portarti dove vuoi andare, per restare dove sei. Per guidare tu il prossimo cambiamento.

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Ci sono 2 commenti

  1. MarieClaire, mentre osservo mio padre – classe 1922! – che sorseggia avidamente il suo latte, rifletto sui cambiamenti radicali che sto affrontando. Li avessi pilotati io? Ero un mid manager infelice in un’aziendina infelice, le scariche dei conflitti interfamiliari tra titolare padre e titolare figlio si riverberavano su me e gli altri compagni di sventura. Avevo uno stipendio, che però non mi ripagava neanche lontanamente delle autoabbuffate di fegato. Libertà ed Autonomia mi mancavano più di qualsiasi altro bene materiale o immateriale. Ora sono sì “disoccupato”, ma mi occupo di mio padre e di me, costruisco progetti da autoimprenditore ( e sarò felice di inviartene traccia ), rifletto e ho una vita anche interiore e non arrivo a sera frastornato dal rimbombo degli smalltalks e dalla fatica di evitare i lunghi coltelli ( era un ambientino…!). L’ho inconsciamente voluto io? Di sicuro ho previsto nei minimi dettagli la rappresentazione di cui ora son protagonista…
    Grazie!

  2. p.s. : Storia Medievale e good food son due tra le mie grandi passioni. Il progetto che sto sviluppando “pilucca” da entrambe.

    Thx, to be the way you are

    Rob

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