Perché ho deciso di non essere più una blogger

Sogno un mondo dove le Digital Pr siano pensate ad personam, e questo mio sogno è uno dei motivi per cui ho deciso di smettere di essere una blogger.

Ci sono altri motivi, che vi spiegherò in questo post: se volete, è un tentativo di prendere tempo raccontando il backstage di una decisione che è quella di chiudere questo blog e trasferire tutti i post sul mio sito personale e professionale. Il passaggio è lungo, il tempo è poco, e ci vorranno almeno un paio di mesi perché questo accada. Nel frattempo, ecco cosa è successo.

1. Sei una blogger o una Digital Pr?

Negli ultimi 3 anni, prima di entrare in Explora, ho lavorato come consulente per le Digital Pr in ambito food&wine. Probabilmente ho raccontato poco quel che facevo, ma più volte mi è capitato che gli altri non capissero se ero in quell’evento come organizzatrice o come blogger. Gli «altri» intesi come colleghi, quegli stessi «altri» capaci di promuovere il passaparola tra potenziali clienti.

Questa confusione non solo non mi ha giovato, ma personalmente non fa parte del mio modo di lavorare: con i miei clienti non ho mai messo sul tavolo della contrattazione i miei profili social o il mio blog, ma solo i servizi professionali e la competenza verticale in ambito food. Ho parlato online dei miei clienti, ma provando sempre a chiarire che lo facevo da consulente, non da blogger groupie.

Da parte mia è una confusione che non amo, e che alla lunga porta sfiducia nei lettori del blog – quando non è dichiarato, proprio come l’Adv – e aspettative sbagliate nella testa del cliente – che si spera ti abbia assunto perché hai i controcoglioni come pr, non perché hai 10k di followers.

2. Non mi interessa guadagnare come blogger

In 10 anni di blogging, sono stata pagata due volte per pubblicizzare un brand, una volta per attività social, l’altra per un progetto editoriale che comprendeva blog e social. Per chi oggi ha un blog, il paid content può essere una forma di arrotondamento rispetto a uno stipendio principale, o un’entrata che da sola consente di mantenersi.

A me di arrotondare o di trasformarlo in lavoro non interessa affatto, e non perché i soldi non mi siano necessari o non mi piacciano (anzi, mi piacciono tanto): nella sommatoria dei pro e dei contro sono convinta che nel lungo periodo quello che mi nutrirà e che mi permetterà di acquistare scarpe, di pagare le bollette, sarà il mio lavoro nell’ambito nel digital marketing e non un post su Instagram. O almeno: è quello in cui sono più brava, mi sento più capace, ciò che mi piace e che sono motivata a imparare sempre di più.

Quindi la domanda è: un professionista con un blog è marchette-free? No, non sempre, ma l’adv non compromette il suo posizionamento (vedi sotto) e non crea confusione in quello spazio online dove ha scelto di raccontare la sua professione (vedi sopra)

3. Le digital pr, oggi, mi lasciano assai perplessa

Il discorso sarebbe lunghissimo, ma la sintesi è: vedo pochissimi progetti interessanti che coinvolgono blogger. Pochi brand sperimentano, pochi lasciano libertà – quella libertà che, a fronte di blogger capaci, sì che genera contenuti unici -; molti brand non hanno la consapevolezza degli obiettivi, la maggior parte ragiona su metriche numeriche. Dall’altra parte, a forza di aderire a queste campagne, un po’ anche perché essere blogger oggi garantisce delle entrate, il panorama dei blogger mi pare essersi appiattito un po’. I piccoli emulano i grandi, i grandi scrivono sempre allo stesso modo che si tratti di adv per un passeggino o per una farina, si va agli eventi solo se c’è un gettone di presenza e a divertirsi e fare sul serio sono rimasti in pochi.

Nel mio mondo estremista, ci sono due tipi di digital pr: il primo è quello che, paid o non paid, si basa inevitabilmente sulla costruzione di relazioni vere –non si scappa dalla gentilezza e dalla generosità, come dire. L’altro è quello ad personam: un progetto creato interamente da un singolo blogger, che preservi la singolarità di ogni influencer capace di creare contenuti interessanti.

Il flusso di contenuti è diventato un po’ ripetitivo, colpa anche di chi costruisce dei progetti non in base a obiettivi ma a numeri, che non seleziona in base a coerenza, reputazione, tipologia di community ma va a botta sicura: invito quel blogger perché l’ho già visto partecipare ad altre campagne / eventi.
In questo panorama, io non mi ci ritrovo: preferisco stare dalla parte di chi prova a costruire progetti diversi che non mandino in nausea le digital pr tra due anni, e scrivere post per ragionarci insieme. Poi basta: è da questa parte che io mi sento a mio agio.

4. Posizionamento: tutto scorre

Per anni ho scritto di cucina e sono diventata credibile nel settore. Poi ho scritto di freelance e di digital pr, e ho costruito una reputazione anche in quello. Dopo Medium ho capito che di qualsiasi cosa io scriva – purché ne scriva bene – esiste la certezza che ci sia qualcuno che lo legge, a cui interessa: è il mio punto di vista personale e professionale che fondendosi con lo stile fa la differenza nella mia scrittura.

Oggi sento tutto questo come un’enorme solidità – di consapevolezza, di reti, di competenze – e sento il passaggio dall’essere blogger all’essere una professionista con un blog come un movimento naturale. È un cambiamento in linea con una crescita di testa, di coraggio, di scelte, che ho voglia di esplicitare, mettendomi in gioco su un terreno diverso.

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Ci sono 5 commenti

  1. E’ un passo di… crescita annunciata: sei, come al solito, lucida e determinata. Vola alto, Maricler! L’ho sempre detto: tu sei destinata al successo. Un bacio col cuore

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