Essere donna, single, essere (o no) freelance

Dicembre 2014: preparo la mia valigia per la Thailandia dove trascorrerò il Natale, chiudo gli ultimi lavori per il 2015, lascio il regime dei minimi, sono single, ho due gatti, vivo in una casa con vista su un parco, non ho dubbi sul voler essere freelance.

Dicembre 2015: mi preparo per un Natale in famiglia a Pordenone, ho chiuso i lavori del 2015, ho pagato le tasse, sono single, ho due gatti, vivo in una casa che si affaccia su un cortile interno, sto mandando cv in aziende per essere assunta.

In questo post faccio il riassunto di un anno lavorativo e personale, e provo a spiegare come l’essere donna e single abbia condizionato la mia tenacia, voglia e riflessione sull’essere (o no) freelance.

Sarà un post che le femministe ameranno oppure odieranno, che è stato molto ispirato dalla lettura di un libro che si chiama «Ci vogliono le palle per essere una donna: Storia di una femminista a sua insaputa» di Caitlin Moran (consigliato da Alessandra).

Essere single

Come molti di voi sanno, poco più di un anno fa mi sono separata: da allora non ho avuto altre storie, solo incontri che non avevano presupposti per maturare. Nel corso di quest’anno ho vissuto il ritrovarmi single soprattutto come un indebolimento:

  • nella vita di tutti i giorni, quando tornavo a casa e avrei voluto più calore;
  • nelle emergenze (quando ho traslocato, mia sorella è stata male, mi sono operata) dove la famiglia e gli amici hanno sopperito alle necessità di cui si sarebbe preso carico un compagno;
  • nella vita sociale, perché essere single a 35 anni è diverso dai 25, dove sono single anche gli altri: la mia crew è composta da famiglie e coppie – nessuno dei quali ha amici single da presentarti tra l’altro (e quando lo fanno, vabbè, lasciamo stare. Vi amo ragazzi. Comunque.);
  • nel budget, perché se le persone stanno insieme, si sposano, scelgono o meno di riprodursi lo fanno per motivazioni anche culturali ed economiche: quando sei sola ti prendi carico tu di te stessa (affitto, bollette, viaggi, cibo, tasse) senza che un secondo stipendio sia lì a contribuire al bilancio familiare.

Sia chiaro: non dico che l’essere single sia una condizione esistenziale svantaggiata rispetto allo stare in coppia ma affermo due cose:

  1. Se non fossi stata in coppia, non avrei trovato la tranquillità economica e mentale che mi ha spinto a mettermi in proprio.
  2. Il periodo di mutazione da donna sposata / fidanzata a donna single è un periodo di assestamento, in cui il punto di partenza è una condizione che ti definisce in una parte della società, e il punto di arrivo ti colloca da un’altra parte: nel mezzo, nel cercare nuovi parametri, è normale sentirsi spaesati e un po’ svantaggiati.

Essere donna single

Non ho mai desiderato sposarmi: da piccola mi vestivo da Zorro, giocavo con le biglie, rasavo le Barbie e sono cresciuta in una famiglia abbastanza disastrata dal punto di vista sentimentale. Da adolescente preferivo i dramma e i Nirvana a Titanic e alle Spice Girls, leggevo Simone De Beauvoir e mi innamoravo di artisti e baristi. Non ho mai considerato la coppia, o il matrimonio, come un completamento di me: sono più o meno sempre stata io e il mio viaggio personale, con tappe che riguardavano il desiderio e la ricerca di una diversa felicità più che quella di un equilibrio.

Mi sono sposata per ragioni burocratiche (ei, ma cosa succede se finisci in ospedale?) e per fare una festa. Più che quel giorno, sono stati i dieci anni di coppia che mi hanno cambiato: ho avuto la fortuna di incontrare una persona con cui crescere, amare, parlare era bello, e stimolante.

Sono stata in coppia da quando ho cominciato a lavorare, ho fatto delle scelte (trasferirmi, mettermi in proprio, lavorare nel settore food) che sono state fortemente influenzate da un equilibrio a due. Soprattutto, hanno contribuito ad alleviare i sintomi della sindrome (molto femminile) dell’impostore, per cui credi di non meritare realmente il «successo» ottenuto perché «non sei abbastanza brava».

Hai un compagno che ti stima, che ti dà coraggio, che crede in te: dall’altra parte non hai più 25 anni, cominci a lavorare, ti rendi conto che le cose le sai fare, e che sei pure brava. Ci sono due fregature in questo:

  1. Nella media degli incoraggiamenti che provengono da te stessa e dal tuo compagno, il calcolo è spesso equamente distribuito: quanto diventiamo autonome nel giudicarci davvero brave senza il sostegno di un altro?
  2. Il tuo compagno ti dice che sei brava, è bellissimo ma: quanto migliori se qualcuno ti sostiene per amore e non per capacità professionali?

Il mio ruolo professionale oggi deriva al 90% da esperienze autonome: non mi sono formata in agenzie o aziende per fare quello che faccio ma l’ho imparato sul campo, studiando, frequentando corsi.

  • Voglio migliorare? Cazzo, sì.
  • Mi bastano i complimenti di chi mi ama? No, voglio quelli di chi mi paga.
  • Come si fa? Con un ruolo strutturato in un’azienda, è la mia risposta.

Essere donna, single e freelance

Per un anno ho rotto le palle a tutti i miei amici con la stessa frase: «sai, essere single e freelance è complicato». Intendendo: quest’anno non è andato così bene come l’anno scorso dal punto di vista professionale, e questo dipende dal non avere un compagno e un secondo stipendio con una tredicesima.

È stato un anno agghiacciante, ma credo anche di essermi lamentata abbastanza (oh però 2016, anche meno tragico). È stato solo nelle ultime settimane che ho compreso quanto quella frase lì sopra sottintendesse: «sono una donna, mi sento debole nell’essere single e freelance».

Ci sono i dati oggettivi: meno soldi, meno conforto, meno sostegno. Ci sono quelli percepiti: mi sento più povera, più sola, più timorosa. E poi ci sono le possibilità che ti dai: rimanere in una condizione mentale che dio, è di passaggio, o provare a fare un salto verso quello che credi sia meglio per te stessa. Te. Stessa. Sottolineo.

Il mio obiettivo del 2016 è «gettare il cuore oltre l’ostacolo», che per me è crescere professionalmente nell’ambito del digital marketing e degli eventi in Italia e all’estero. Decido di farlo in un’azienda e non da freelance perché voglio crescere in un ruolo strutturato, e non perché «da sola non ce la faccio».

Se nessuna azienda mi assumesse (per ragioni imperscrutabili :), so dove orientarmi: settore beverage, con eventi e digital pr in Italia e all’estero. (Ho già detto estero?)Decido di farmi condizionare di meno da certi parametri che determinano «l’essere donna», perché non hanno nulla a che fare con l’essere la donna e la persona che sono.

Ho ricominciato a scegliere: non so cosa si realizzerà, è stato complicato, sono attualmente in cerca di un lavoro, mi invento nuove risorse (un video, che arriverà a breve). Ma ho messo via la sensazione di essere una reietta e debole, perché donna, single e freelance. Da qui, il resto è in discesa.

Ci sono 23 commenti

  1. Ho aspettato questo post e “Voglio migliorare? Cazzo, sì” è stata la migliore risposta a questa attesa.
    Mi ritrovo in molti passaggi, non di vita ma di pensieri.
    E’ stato, per me, un 2015 molto improntato sull’attesa di un passaggio professionale che non c’è stato, di attesa di una dimensione (zia) e di gioie sganciate dal portafoglio. Insomma, il 2015 mi ha imposto di cambiare i pilastri su cui mi sono sempre poggiata: io ed il tutto e subito. E ora mi ritrovo confusa, ma con dentro ancora lo spirito scanzonato ed energetico delle Spice Girls (io le mischiavo a Virginia Woolf ed Erica Jong :) ).
    Ciò che manca per mettere ordine è quel riconoscimento professionale, perché più che in crescita mi sento in gabbia e ho ancora sogni dentro che scalpitano.
    “Voglio migliorare? Cazzo, sì” sarà il mio mantra, grazie per avermelo trovato.

  2. Come Rossella mi ritrovo in tanti passaggi di pensieri. Ho fatto un po’ un percorso inverso rispetto al tuo: prima azienda e single, poi freelance e single, poi freelance e accompagnata, accompagnata tanto bene che ora lavoriamo insieme, entrambi da freelance.
    Mi ricordo quella manciata di anni da freelance e single con euforia e tanta tanta fatica, soprattutto perché mi mancavano quegli incoraggiamenti da parte di un compagno che tanto fanno per l’autostima e per darti la spinta per arrivare a fine mese o a fine progetto.
    Il 2016 si presenta ancora più complesso perché pieno di progetti e perché necessitiamo dell’equilibrio indispensabile per non farci fagocitare da un lavoro che sì amiamo, ma che tende ad annientare ogni forza in fondo alla giornata. Perché non ho più 28 anni, e la sera sono a pezzi e crollo dal sonno!
    Quindi visto il periodo di feste in arrivo proporrei un brindisi al 2016, che sia più generoso e più accomodante per tutti!
    Sei forte Mariachiara!

  3. […] ho messo via la sensazione di essere una reietta e debole, perché donna, single e freelance.[…]
    Comincio dalla fine. Perché sentirsi debole se invece hai camminato per un anno con le tue gambe?, realizzando comunque qualcosa nella tua vita?. un lavoro da freelance che forse non ti ha dato soddisfazioni, ma che comunque sei stata tu a creare.
    Sarà che invece per me questo 2015 è passato sentendomi “reietta e debole” perché donna, in coppia e con un lavoro da dipendente.
    Una coppia dove la divisione di gioie e dolori non è stata sempre equa. Una coppia dove da un anno a questa parte, non ho trovato né conforto, né calore. Sono accadute così tante cose in un anno o poco più, che l’equilibrio si è rotto, e essere in coppia mi è sembrato più un peso da trascinare che un porto sicuro dove attraccare.
    Un lavoro sicuro, stipendio e 13ma, che non mi regalano nessuno stimolo e nessuna crescita per il futuro,
    “Voglio migliorare? Cazzo, sì” anche io come te. Pur partendo da premesse agli antipodi.
    Perché non è quello che siamo, ma quello che vogliamo essere che ci condiziona e ci caratterizza più di tutto.
    Buona vita. Che questo 2016 realizzi i tuoi desideri.

  4. Bellissimo post. Utile all’autostima e la consapevolezza di tutte.
    Grazie,

    Laura
    accompagnataedipendentefulltimeatempoindeterminato

  5. Ciao Mariachiara,
    Ti leggo in silenzio da tanto, ma con questo post ho voglia di commentare.

    Volevo prima di tutto chiederti per quale motivo metti in mezzo “l’essere donna”?
    Perchè pensi che “l’essere donna” ti faccia sentire più debole?
    Perchè invece non pensi che la tua condizione è data solo dal dover lavorare in autonomia senza l’appoggio “casalingo” (un *nido* in cui rifugiarti sia emotivamente che economicamente) -come tu stessa fai intendere- e non c’entra nulla dal tuo essere donna?

    Per il resto, non posso metter bocca riguardo a quello che senti, a quello che reputi meglio per te, perchè non ne ho nessun diritto.
    Posso solo dirti che ti ho conosciuto quest’anno, non sapevo chi fossi, ed ho cominciato a seguirti solo perchè seguivo già qualche ragazza di C+B e quindi avevi “la mia fiducia”
    Beh, secondo me in quest’anno sei esplosa. In senso positivo.

    Adesso vengo spesso a cercarti, a vedere se hai scritto qualcosa di nuovo, se hai pubblicato qualche foto.
    Tutto quello che pubblichi mi trasmette energia e voglia di vivere e felicità
    Tutto quello che pubblichi è in qualche modo emozionante, e mi fa stare bene.

    Quindi ecco, volevo lasciarti qualche complimento.
    E se posso arrischiarmi, mi piacerebbe dirti che un equilibrio creato in anni ed anni è difficile ricostruirlo in un anno solo. Che hai tutto il diritto di sentirti persa e sola, che è normale.
    Stringi i denti, che ti ho vista guadagnare nei mesi sempre più equilibrio.

    Un abbraccio forte
    Giulia

    1. Ero a casa di un’amica quando ho letto il tuo commento e non ho potuto fare a meno di leggerlo ad alta voce: grazie.
      Io non so più quali sono i motivi per cui quest’anno è andata così, o meglio: ce ne sono parecchi. Ma sì, credo di essermi condizionata dal fatto di essere donna (leggi: un percorso che in certe condizioni ti definisce come persona più o meno completa rispetto alle scelte che fai). Ci ho messo un po’ per capire che in certi stati mi ci ero messa da sola, e non è stato facile.
      Ho scelto di mostrare il senso di questo percorso, di questa scoperta, come ho sempre fatto perché il mio punto di arrivo è la felicità, su questo conta su di me :)

  6. Ciao, prima volta che commento. :)
    Donna, web marketer e single anche io: ho seguito diversi progetti da freelance, al momento dipendente in azienda.
    Grazie per aver condiviso questo momento con questo realismo e questa sincerità.
    Io credo che dal punto di vista professionale stare in azienda ti insegna di più. Almeno, a me è capitato così. Nei progetti da freelance sono stata in genere la mano che scriveva, senza il controllo di tutto il resto. Spesso neanche mi hanno detto se così andava bene o andava male. Non mi dicevano perché lo dovevo fare, a chi dovevo parlare e che cosa si aspettavano, mi hanno detto solo “ci servirebbe una freelance per scrivere questo”. In azienda invece penso (spesso con altri, in uno scambio che a volte ti completa e ti migliora, altre ti spegne e ti stanca), faccio (a volte con altri, che mi insegnano a fare quello che non so), vado a guardare i risultati e decido se ho fatto bene o ho fatto male.
    Ma vorrei vivere di più. Lavorare nei momenti della giornata in cui mi sento più creativa. Avere a cuore il MIO progetto. Rispettare sempre la mia mission, la mia persona, la mia poesia. Annusare le stagioni anche solo lavorando su una panchina, e non vederle scorrere veloci e irrecuperabili. Per fare questo credo che non dovrei essere una mamma single, c’è poco da fare, lo dici anche tu. Essendo una mamma single, farei questa scelta come consolidamento di una carriera fatta prima in azienda, avendo maturato solidità professionale e soprattutto relazioni commerciali forti. Prima viene il frigo pieno. Non i vestiti e le cose inutili, solo il frigo pieno.
    Comunque ti vada, ci saranno vantaggi e svantaggi. Il lavoro fa parte del nostro viaggio e a volte quello che sembra duro, col senno di poi si rivela prezioso.
    Ti auguro bene.

  7. Ciao Mariachiara, non entro nel merito delle emozioni, che per ognuno sono reali e differenti. Dico solo una cosa del tutto generale, che mi è stata insegnata tanti anni fa da un uomo in un corso di formazione: che tu sia dipendente o che tu sia autonoma, nella vita l’importante è crearsi sempre una scelta, anche solo mentalmente, per alleggerire il peso e la tensione. Uomo o donna funziona nello stesso modo, vivere in maniera totalizzante un’esperienza ha i suoi lati positivi per l’esperienza in sé, più piena e sicuramente migliore, ma ha il lato negativo nel non tener conto l’evoluzione. Tenendo fede a questo insegnamento, in questi anni di lavoro sia da dipendente che da autonoma ho fatto continuamente colloqui, per valutare l’eventuale passaggio da una situazione all’altra, anche solo per potermi dire “ok, ho una scelta”. Credo sia un esercizio quotidiano. Rifiuto i passaggi in cui accenni all’essere femminile, debole e bisognoso di una pacca sulla spalla. Conosco troppe donne che non sono così.

    1. Io mi sono scoperta più debole di quel che pensassi, ma la vera forza è stata capirlo, capire che era un assoggettamento culturale ma che non aveva a che fare con quella che sono veramente: è un casino :) Mi piace molto l’esercizio di scegliere, mi ci applicherò!

  8. Hai scritto un articolo molto interessante, in cui mi riconosco molto, anche se non condivido esattamente le tue stesse tempistiche nell’essere single e freelance. Donna sí, lo sono sempre stata, sia in coppia che da dipendente, e pure trentenne separata. Anche io infatti, dopo un decennio di coppia sfociata in matrimonio e contratti a tempo indeterminato in ufficio, ho dovuto cambiare strada. La separazione mi ha portato una grandissima coscienza di me stessa e di quello che volevo essere. Sarà che si è trattato di una scelta così drastica, che da quel momento non ho avuto più paura di voler realizzare i miei sogni. Separarmi mi ha dato il coraggio di espatriare da sola, viaggiare da sola, far valere il mio desiderio di autonomia e finalmente lasciare la vita da dipendente in ufficio, che mi andava così stretta. Nello stesso tempo ho trovato anche un compagno che mi affianca e con cui ci incoraggiamo a vicenda, nelle nostre avventure quotidiane. Il primo anno è difficile, te lo dico per esperienza; io mi sentivo fluttuare in un mare di incertezze e di adrenalina, a volte pensavo di poter essere tutto, altre volte di non essere nulla. Essere una donna che si ritrova single a 30 anni, con un matrimonio alle spalle, non è facile, volente o nolente la società di fa sentire monca, debole, e noi ci ritroviamo a pensare che magari hanno pure ragione e senza un uomo al nostro fianco non ci sentiamo più così sicure di quello che valiamo. Invece quel periodo passa, e ritorni a mettere insieme i pezzi e a concentrarti su te stessa in maniera più razionale. Se quindi al momento senti di dover migliorare e per questo lanciarti nel mondo aziendale, vento in poppa e avanti! Mi permetto un modesto consiglio, visto che di anni in aziende italiane ne ho vissuti abbastanza…se puoi, passa direttamente alla combinazione azienda + estero, sarà tutta un’altra esperienza in cui ti sentirai più valorizzata nel tuo talento!

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