La riva del branding confuso

Negli ultimi mesi ho cominciato tre cose nuove

  1. Scrivere su Medium
  2. Fare video e pubblicarli su You Tube
  3. Un corso da bartender qui a Torino

A distanza di mesi, e mentre ci sono ancora nel mezzo, provo a indagare il legame tra queste novità e una qualsivoglia strategia di personal branding, ispirata dai post determinati di Francesca Marano.

Io sono una che ha paura di disperdersi: ho un carattere entusiasta e strutturalmente gioioso, e fino a che non ho raggiunto una certa e matura placidità mi è capitato di appassionarmi a iniziative e persone e di spendere energie inutili. Con gli anni, insieme alla consapevolezza che il tempo è meglio investirlo che viverlo con leggerezza, prima di buttarmi in cose nuove mi sono chiesta: queste cose, dove mi portano? Riuscirò a portarle a termine? Sono sicura che sono in grado di impegnarmici? Oltre agli interessi personali, privati, dove mi porta acquisire nuove competenze?

Mi sono sempre fatta tantissime domande, e ancora di più da quando la mia professionalità ha cominciato a passare anche da quello che, di questa, ho raccontato online: gli status, le tempistiche, gli argomenti, le reazioni, le relazioni. Una vita professionale che passa attraverso scelte continue di posizionamento: chi è la mia rete? A chi e con chi voglio parlare? Questo post sarà utile a qualcuno? Sto condividendo quello che so: lo faccio per attitudine, ma anche perché è una pratica che genera interazioni, scambi, e tutto quel networking che mi ha permesso, fino a oggi, di trovare clienti, collaboratori, occasioni.

Ora, tutto questo fa parte di un cambiamento in corso da due, tre anni che si è integrato in buona parte con una solida tendenza alla spontaneità, e se vogliamo con una certa padronanza di sé che mi hanno portato a una determinata convinzione: se sei una persona in gamba – e sì, sono convinta di esserlo – tutto quel che farai non ha sempre bisogno di appoggiarsi su un calcolo di audience e di posizionamento. Ogni tanto bisogna fidarsi della supremazia del sé, chiamando in questo modo arrogante la caratteristica di rimanere umani tra gli sbagli, i salti nel vuoto, la voglia di acchiappare tutte le cose belle al mondo, e le incertezze che, se confermate, ci fanno rimanere piccoli.

Tornando alle tre cose nuove di cui sopra: le ho cominciate per diversi motivi. Per avere un piano B, ad esempio (fare la bartender), perché avevo bisogno di tempo spensierato (e nei video mi diverto molto), perché avevo voglia di scrivere di argomenti che qui non trovavano spazio (e su Medium ho parlato di malattia, di amore, di marketing).

A guardarle insieme, parlano anche di confusione. Sissignóre, confermo. Se ci fosse stata chiarezza, e un obiettivo, avrei:

  • Creato un unico blog sotto il mio sito dove inserire i post di Medium, quelli di questo blog, e altri che avessero avuto come argomento le Digital Pr e gli eventi: sarebbe stato più efficace, solo che non l’ho capito subito (e grazie Alessandra per il consiglio).
  • Impostato un piano editoriale su You Tube con dei video a cadenza fissa, cercando una qualità migliore da subito, e sfruttato la presenza su quel canale per stringere relazioni con altri YouTubers.
  • Avrei deciso e scritto una serie di post su cosa sto imparando durante il corso da Bartender, con l’obiettivo di diffondere conoscenze del settore beverage per mettere un piede anche lì.

Che dire: nel 2015 non ho capito molte cose e ho improvvisato in tanti momenti – non che non volessi avere una strategia, sia chiaro. Ma non ho avuto la calma e la tempra per farlo, ero davvero impegnata a ricucire, traslocare, operarmi, curare, costruire, riannodare. Così sono stata ferma per un po’, poi mi sono fatta aiutare da una santa terapeuta, e ho ricominciato a fare.

Quindi la domanda è: tutte le nostre attività devono convergere verso un obiettivo di posizionamento?

Sarebbe stato utile avere avuto le idee più chiare dall’inizio, ma ad oggi ognuna delle tre attività che ho intrapreso mi hanno portato degli effetti benefici senza averlo deciso prima: se fossero state canalizzate, avrei raccolto risultati più concreti, ma queste sono state le conseguenze più evidenti

  • Ho imparato a scrivere meglio, e le persone hanno scoperto che so scrivere. Sembra divertente perché ho un passato da aspirante scrittrice che non ho mai raccontato, e forse a 35 anni avevo voglia di conciliarmi con quello che sognavo a 19. Medium mi ha dato la possibilità di uscire fuori dal blog, di dedicarmi alla scrittura con una determinazione e un tecnicismo che nei confini di questo blog avevo un po’ smarrito. Ho conosciuto nuove persone, vocaboli, sono cresciuta in quello che è un aspetto della mia professione.
  • Ho trovato un nuovo modo per farmi ricordare: dopo «la ragazza con la foto fucsia» e «la foodstrategist» sono diventata «quella che mangia la trippa in scatola». Ed è qualcosa che mi rappresenta, perché io sono così: è stato un modo per uscire dai temi e lo stile del blog, ma anche dalla professione di consulente. Rappresenta quel tratto scanzonato che è la cifra della creatività quando in un settore i linguaggi e i contenuti sembrano sempre gli stessi: non sono partita con l’idea di «fare qualcosa di diverso», ma di divertirmi. E l’ho fatto con quella spontaneità di cui sopra, con un’idea semplice che ho trovato il modo di attuare. Ho imparato come si fanno i video, un minimo di postproduzione, come farlo a budget zero. Funziona, perché i clienti e le persone li vedono, ridono, e addirittura comprano la trippa in scatola (giuro).
  • Non so se il bartending diventerà davvero il piano B, un giorno vi racconterò l’assurda complicatezza di questo mestiere. Stamattina ho ricevuto un’offerta, in una chiacchierata tra amiche. Non so se riuscirò a lavorare per dei brand di superalcolici, ma intanto sto sperimentando un’esperienza di apprendimento diversa da quelle della mia professione: si impara facendo, in una classe di 10 persone che hanno tutte dieci anni meno di me, e sono tutte più brave. Ho imparato a impegnarmi il triplo per qualcosa verso cui non so se sono portata, ma che mi diverte e mi fa stare bene. Per ora sono diventata quella brava a trovare i posti buoni dove bere, il resto si vedrà.

Oggi, in questo novembre che non addito come un buon momento per tirare le somme, mi ritrovo a comprendere il perché e gli effetti delle mie azioni istintive degli ultimi mesi, a dirmi: non è andata così male. Il mio io aveva ragione alla fine. Anche senza avere le idee chiare, mi ha portato a riva, o almeno non mi ha lasciato a fare la paperella vicino agli scogli.

Da qui in poi lavoro per intraprendere nuove strade, che si appoggiano su bisogni nuovi, alcuni fumosi, altri contingenti. Non sono ancora certa di dove sto andando, ma ho capito che posso fidarmi di me, anche quando non mi sembra di prendere decisioni coerenti e strategiche.

È una gran cosa, non credete?

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Ci sono 6 commenti

  1. Ciao Mariachiara e grazie per questo bel post.

    Anche io avevo una mezza idea di iniziare a scrivere su Medium (ho pensato anche io al timore di disperdere i contenuti) ma dopo questo tuo post penso che l’idea non rimarrà più mezza :)

    Un abbraccio,
    Ilaria

  2. Sì, decisamente una gran cosa.
    Ed è sempre bello leggerti :)

    Ps. Anche io sono una gran confusionaria, ma credo che nella confusione ci possa essere tanta bellezza. Nella tua senz’altro!
    Pura vida ?

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