Il Riso Gallo come metafora della vita

In questo periodo tutto è una metafora della vita: il bicchiere che si rompe, la frase sul retro dei biscotti, una ricetta che viene diversamente dal solito.

Per varie questioni della vita le parole “casualità” e “destino” sono la mia copertina di Linus, e tendo a leggere quello che accade intorno, anche i gesti più asettici, come un segno di una storia che mi sta raccontando qualcosa.

È successo anche durante la visita a Riso Gallo, la scorsa settimana a Robbio (Pavia): lì, tra piccoli chicchi ed enormi macchinari, la storia del riso e della sua lavorazione si è tramutata in una traccia sentimentale, in una lotta tra l’accettazione di sé e l’ambizione a essere perfetti.

Con calma, provo a raccontarvelo.

La visita comincia dalla cascina Kyrie, una tra le più grandi dove il riso viene coltivato ed essiccato: qui, tra infiniti campi e una trebbiatrice grande come un’astronave, si coltiva il riso, che a vederlo nella terra assomiglia un po’ a una spiga, con chicchi che resistono alle intemperie protetti dalla lolla. La lolla ha una consistenza durissima, è inattaccabile dagli insetti e viene riciclata per farne piatti, lettiera o foraggio.
Cercasi lolla per gli esseri umani :-)

Una volta che il riso è stato raccolto, bisogna eliminare la lolla tramite un processo che si chiama sbramatura: quello che si ottiene è un riso grezzo, integrale, che possiede ancora tutte le farine
Mentre guardavo quel chicco che sarebbe poi diventato bianco, per piacere ai più, pensavo: quando esattamente cominciamo a formare un’immagine di noi stessi che è così perfetta da risultare irreale? Quando cominciamo a scuoterci di dosso i nostri difetti per piacere all’altro?

Via la lolla, via la farina, ed ecco il chicco che viene passato su vari setacci, con un passaggio umano, meccanico e infine digitale: i chicchi non possono avere più dei due terzi di superfice striata da macchie, e tocca individuarli e scartarli. Insieme al riso prodotto dalla Riso Gallo, la materia prima viene acquistata alla Borsa del riso o da determinati agricoltori, il tutto controllato dall’Ente nazionale Risi.

Mentre assistevo all’infinito lavoro di selezione e controllo, all’intreccio di prodotto e marketing, ho intercettato l’energia che c’è dietro ogni singolo chicco, quando a produrlo e lavorarlo è un’azienda che per molti versi è rimasta familiare: parliamo di numeri impressionanti, ma anche di un padre e tre fratelli che volendo commercializzare il riso hanno scelto di farlo mettendo sul mercato la migliore qualità che avevano a disposizione.

Gli intenti ci rendono sempre migliori di quelli che siamo: ci danno una direzione, ci donano la forza di uscire dalle strettoie, ci rendono appetibili. Anche nei momenti bui, ci vorrebbe sempre l’immagine di un galletto energico a ricordarci chi vogliamo diventare. [Detto questo ringrazio la Riso Gallo per aver soddisfatto la mia nuova mania: la pasta di riso, che loro fanno con mais e grano saraceno. Già testata a pranzo, buonissima]

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Ci sono 2 commenti

  1. ma lo sai che io sono cresciuta in mezzo al riso?
    letteralmente!
    i miei nonni erano contadini, ops, coltivatori diretti…affittuari di una tenuta agricola dove coltivavano riso e allevavano vacche da latte.
    loro vivevano “riso amaro”, nel senso che la loro vita era proprio quella là, con le mondine che arrivavano ogni anno, il figlio che studiava orgoglio di mia nonna
    poi mio nonno si ammalò, mio papà era partito militare e aveva scelto quella carriera.
    mia madre avrebbe anche voluto continuare quella vita, rilevare l’azienda dei nonni, ma a mio papà non andava più e mia nonna da sola, quando morì mio nonon, non se la sentiva più, nonostante il cognato le avesse offerto tutto il supporto.
    oggi i miei cugini, nelle campagne del pavese (lomellina) sono ancora coltivatori diretti. non hanno le mondine, ma hanno macchine spaziali (sul serio! funzionano con il gps per la semina) e sono in due (prima erano in tre, ma è morto il padre) a far andare un bel po’ di terra.
    e vivono felici, loro e le loro famiglie, hanno i capannoni con il fotovoltaico, studiano, si aggiornano….
    non è una brutta vita forse (adesso)

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