Identità Golose 2009. I cuochi (prima parte)

Lunedì

Mauro Uliassi

Uliassi è uno a cui hanno scritto un discorso, un vero spot delle Marche, ma lui non è tipo da palco, non è una persona adatta alla spiegazione, non è uno che si presta all’eloquio.

Uliassi è un cuoco che ha riscoperto la carbonella, uno che, facile immaginarlo, va dal carbonaro ottantacinquenne del suo paese e gli chiede: oh tu, carbonaro, ma come è che la fai la tua carbonella? Uliassi spiega che la carbonella non si trova più in giro, che è un qualcosa di desueto come inconsueta è questa tecnica di cottura. Invece lui ne parla con entusiasmo, ci racconta come costruire la carbonella (facile, basta avere un terreno, del legno di Carpano, interrare il tutto e poi cuocere i nostri calamari).

Uliassi è un minatore della cucina, uno che agguanta il pesce e lo apre, prende il legno e lo brucia, infiamma lo stomaco e crea una ricetta. Anche se non parlasse per niente su quel palco, le sue ricette e il suo staff parlano per lui: quanto è difficile comprendere la sua parlata un po’ villica, così è facile capire la passione che lo anima. La si avverte a pelle, si comprende subito quanto piaccia a questo cuoco stare in cucina, con i suoi ragazzi. Li invita sul palco, li presenta, nomi e soprannomi, ne tesse le lodi. Forse in cucina con Uliassi non c’è bisogno di spiegazioni.

Paolo Lopriore

Lopriore è un sognatore, timido, espressivo, una persona che ha voglia di parlare, che ti invita a sederti e a gustare ciò che con tanto amore ha preparato. Io che non sono una persona molto delicata riesco a descriverlo solo come una persona “squisita”, un piccolo e goffo cuoco che studia e ama la cucina (e in particolar modo le verdure, come spiega quando parla del suo percorso culinario) e che ha un immensa voglia di condividerla. Uno che se non facesse il cuoco sarebbe un pacato maestro di una volta, quello che non dà le bacchettate ma che ispira lo studente, che riesce a parlare con la madre e a dare la ricetta del raviolo alla segretaria. Solo che Lopriore dà la ricetta della Zolla di certosa, che è un’altra cosa.

Joan, Josep e Jordi Roca

I fratelli Roca partono dalla materia, e la plasmano in maniera giocosa. La loro è una cucina poco astratta, almeno a parole. Sono tre, la classica triade dei fratelli, quello belloccio, il noioso protettivo e quello genialoide con manie di irresponsabilità: tre fratelli che producono miracoli, che si divertono con lo zucchero e con le verdure come se giocassero con gli aquiloni. Vedi che forma ha quella nuvola, senti il vento, rotoliamoci nell’erba. Tre fratelli carnali e festosi, pacati e concentrati. Le loro idee sono geniali, e stanno tutte lì nel piatto: non c’è un prima a fare da premessa né un dopo a fungere da didascalia. Il piatto si spiega lì, nelle forme e nei colori, tra la terra e l’arcobaleno, nasce in cucina e viene mangiato a tavola, senza troppe sovrastrutture.

Sang Hoon Degeimbre

Il foodpairer è un po’ algido, come la sua cucina, forse sconta la presentazione partita male (senza interprete, con una timidissima Alessandra Meldolesi ad affrontare il foodpairer, il pubblico e il francese tutti insieme), prova a condividere con noi il concetto del foodpairing aizzando le folle all’urlo di pairing=sharing, ma non riesce proprio a convincere. Seguo le sue spiegazioni come una studentessa durante l’ora di fisica, attenta a non perdermi calcoli, passaggi, tutta corrucciata cercando di capire come si può cuocere il brodo con gli ultrasuoni. L’unica è assaggiare, al di là dei diagrammi e degli strumenti, l’unica è degustare l’ostrica col kiwi: solo in 20 saranno i fortunati, e per loro la lezione di fisica si tramuta in passi di samba, in giri tra le orchidee, in un bagno di latte. Io, abbandono mestamente alla ricerca di stimoli più fisici (e infatti trovo l’uovo di Paolo Parisi).

Martedì

Riccardo Agostini

Agostini lavora al Piastrino a Pennabilli. Ok, finito lo scioglilingua. Il resto procede lentamente, a piccoli passi e con strette di mano sincere. Agostini non ci crede, guarda il pubblico emozionato e poi ritorna a guardare le piastre della cucina, e a fare il suo lavoro. Tra le piastre Agostini perde la timidezza, dimostra mano ferma, stabilità. Procede con cautela, si guarda intorno e pensa che la cautela gli serve, ancora per un po’. Penso che tra qualche anno vedremo Agostini tra i grandi, magari a sorprendere il pubblico e se stesso con un brillante eloquio, ma per ora rimane cauto, umile, attento ai dettagli nello spiegare i piatti. Il suo carattere e i suoi piatti che ho assaggiato sono state una delle sorprese di IG, dalle quaglie con zucca e caffè ai ravioli al doppio ripieno con cipolle e salsa alla birra.

Michele Biagiola (la madeleine, l’ingegnera argentina e la moglie pr)

Il sottotitolo wertmulleriano si spiega così: la madeleine è la mela selvatica che si trovava nella zuppa che ho assaggiato, e che mi ha riportato l’immagine di me bambina sull’altalena; l’ingegnera è colei che collabora con lo chef e sua moglie attraverso laboratori di analisi sensoriali, in un percorso culinario di riscoperta dei sensi; la moglie Francesca è un tale concentrato di energia che viene voglia di lasciarle il microfono e di promuoverla a conduttrice. Il risultato di questo miscuglio è un bombardamento sensoriale, e grandi sorrisi. L’impressione è quella di una grande sinergia del cuoco con il territorio e con i suoi collaboratori, da cui, confessa, “ogni tanto si sente alle dipendenze”.

Moreno Cedroni

Cedroni è la Bree Van de Kamp della cucina italiana: meticoloso, logico, perfezionista, perso nel suo mondo dalle simmetrie perfette e di famiglie di colori. Cedroni è un genio assoluto, un accentratore di sensazioni che riunisce in un piatto dopo averle centrifugate nella sua testa.

Cedroni vive nelle Marche, e ha la fortuna di affacciarsi sul mare, dove può stiracchiare i suoi ragionamenti al sole e giocare con la sabbia, ed è una grande fortuna perché ho il dubbio che se vivesse in città la sua fantasia sarebbe frenata da palazzi alti e rumori assordanti, e non avrebbe tutto il terreno per esprimersi che ha invece nella sua regione.

Si è fatto sfuggire la sua parlata solo in una frase, e subito si è irrigidito, tornando all’eloquio da palco, un palco a cui è evidentemente abituato, perché parla in maniera fluida, scorrevole, in un ritmo adatto alla platea, e cita dei metodi di cottura che ha spiegato “nelle lezioni precedenti”. Mannaggia, non ho gli appunti.

Cedroni è uno che sta imparando a fare le cose da sé: il baccalà sotto sale, il tonno, le conserve, i sughi. Prima che si trasformi in Christine Ferber o che gli venga l’ispirazione di fare il pescatore, vorrei andare a pranzo da lui. Ad assaggiare magari il “gusto puffo della seppia”.

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Ci sono 5 commenti

  1. Bellissimo post, mi piace molto che tu abbia fissato alcune frasi dette dai cuochi, rende le tue descrizioni ancora più autentiche. Lopriore non l’ho seguito ma la tua descrizione mi fa pensare una volta di più che bisognava avere il dono dell’ubiquità a IG. Io sono ancora in fase scelta foto :(

  2. Complimenti, complimenti e complimenti per questo post. Mi sembra di essere stata lì, ma di più, di aver colto delle cose che pur essendoci mi sarebbero sfuggite. Grazie! :)

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